Massimo Picozzi – Antidoto all’odio – Pordenone – 19 giugno 2025

 

Dalla cronaca al cinema alla letteratura: un viaggio per capire i meccanismi dell’odio che ha affascinato il pubblico che ha gremito il chiostro della biblioteca.

Cambiano i mezzi (vent’anni fa Carlo Taormina andava ogni volta possibile al Maurizio Costanzo Show per il caso Franzoni, oggi ormai i social dominano su tutto) ma i meccanismi dietro a quello che succede sono sempre gli stessi.

L’odio è la proiezione di quella parte malvagia, terribile, cattiva che ognuno di noi tiene nascosta nel profondo del proprio animo e che proiettiamo sull’altro per paura di noi stessi.

Esistono persone in cui questa parte oscura non ha freni. Autentici mostri come Angelo Rizzo, il mostro del Circeo, Erika e Omar, che uccidono madre e fratellino di lei seguendo un folle piano e come vivessero un film o un videogame.

L’odio nasce dal pregiudizio. Tutti noi, anche il più equilibrato, abbiamo pregiudizi, consci o inconsci. Un test per misurare i pregiudizi chiede di abbinare una foto ad un aggettivo. Tutti tendono ad associare un aggettivo positivo quando vedono una persona, ma molti impiegano tempi di reazione più lunghi per alcune etnie piuttosto che altre. Per questo un allenamento fondamentale per chi nelle forze dell’ordine indaga è quello di riconoscere i propri pregiudizi, per poterne tenere conto e restare equilibrati e neutri nello svolgimento delle indagini.

Tra coloro che hanno saputo descrivere perfettamente l’odio Stephen King, un grande scrittore il cui talento straordinario va ben oltre quello che ci si aspetta dal genere horror. Basti pensare a Pennywise, il terribile clown protagonista di It, che si nutre delle paure e le incarna. Non è forse la storia di Luca Traini, ragazzino bullizzato che trova nella palestra il suo riscatto, che perde una fidanzata che cade nell’abisso della droga, che sente del delitto di Martina Mastropasqua (cui secondo voci messe in circolazione gli spacciatori avrebbero mangiato il cuore seguendo i costumi della mafia nigeriana), e usa la pistola che aveva comprato per difendere sé stesso e la fidanzata nella periferia in cui avrebbe voluto trasferirsi per andare in centro e aprire il fuoco contro chiunque gli sembrasse uno spacciatore di colore. In ospedale capisce, gli mostrano le foto di una delle vittime, e lui vede quello che è: una ragazzina spaventata e dolorante. E mentre sconta la pena scrive “Mi trovo bene qui in carcere. Ho un compagno senegalese, è un bravo Cristo. Gli ho regalato una maglietta.”

Foto di Antonio Ros

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